Spiccioli di economia 6 Una finanza che si mangia l’economia

Alla fine, come sempre, è tutta una questione di giuste proporzioni.
Un pizzico di sale rende gustoso il pane, ma a nessuno verrebbe in mente di invertire i rapporti fra sale e farina, mettendo venti grammi di farina per chilo di sale invece del contrario. Un fornaio che lo facesse perderebbe clienti, licenza, reputazione e, prima di Basaglia, avrebbe pure rischiato il manicomio.
Eppure è proprio quello che sta succedendo da decenni sotto gli occhi di tutti. La finanza, che in giuste dosi è indispensabile all’economia reale proprio come il sale negli alimenti, è cresciuta a dismisura fino a diventare un mostro di proporzioni tali da soffocare e uccidere il settore che dovrebbe sostenere e aiutare.
Si è comportata esattamente come un cancro. Le cellule cancerose si moltiplicano a folle velocità, traendo nutrimento da quello stesso corpo che portano alla morte. La speculazione finanziaria sta facendo la stessa cosa, sotto gli occhi di tutti e nell’indifferenza generale.
La finanza è il “mercato del denaro” e serve sia a rifornire l’economia reale, sia a offrire rendimenti al risparmio. Un’indispensabile mediazione che collega carenza ed eccesso di liquidità e permette di realizzare investimenti e remunerare capitali. Un settore che sarebbe utile se fosse in rapporto equilibrato con l’economia, ma diventa un mortale parassita ora che è in proporzione di almeno dieci a uno rispetto alla realtà (ma altri studi fanno lievitare questo rapporto fino a cento volte): per ogni euro “vero” ne circolano da nove a novantanove virtuali, che si spostano a velocità folle per il pianeta a caccia dei migliori rendimenti. A spese di quell’unico euro “vero”.
Un mostro cresciuto a dismisura a partire dagli anni 80, favorito dalla deregulation reaganiana, dalla globalizzazione e dalla velocità di scambi concessa dall’informatica.
La finanza, ricordava Luciano Gallino, “estrae valore” da merci, uomini, ambiente. Cioè si comporta come un parassita capace di risucchiare dalle nostre tasche il denaro faticosamente guadagnato col lavoro quotidiano per dirottarlo nelle capaci bocche di squali invisibili, protetti dall’anonimato della rete e ben riparati da una legislazione che tassa tutto in modo esagerato (lavoro, casa, terreni, acquisti, risparmi) tranne quello che dovrebbe tassare, cioè i facili guadagni della speculazione.
La finanza è vorace, non si accontenta dei normali tassi di rendimento: vuole guadagnare in tempi rapidissimi decine di volte tanto. Siccome in economia, come in fisica, nulla si crea ma tutto si trasforma, la finanza succhia valore dal lavoro, dall’ambiente, dalle persone, dagli stati. Fino a dissanguarli del tutto, come sta succedendo.
Il problema è che non è così facile rendersene conto: spesso immaginiamo la finanza come un mondo surreale, in cui affannati operatori gridano e gesticolano davanti a file di monitor o grigi uomini di affari si ritrovano in ristretti consigli di amministrazione per i loro rituali da iniziati. Immagine da cine americano che ci mostra solo una faccia della medaglia e ci può suggerire che tutto rimanga in quella dimensione ovattata e irreale, in bit di computer e cifre danzanti su schermi luminosi. Senza fare, in fondo, grossi danni.
Così spesso non ci rendiamo conto che quelle migliaia di miliardi di dollari risucchiati dalla speculazione e che finiscono in poche mani non arrivano dal nulla: sono presi dalle tasche dell’operaio asiatico che lavora 14 ore al giorno per 360 giorni all’anno, dal minatore sudamericano soffocato lentamente dalla silicosi, dal bracciante africano ucciso dagli antiparassitari. O, per restare a casa nostra, dalla disperazione del licenziato, dalla frustrazione del disoccupato, dalla stanchezza del vecchio costretto a lavorare, dal dolore del malato in perenne lista d’attesa, dalla rabbia del pendolare.
La finanza ha ricadute terribilmente reali e concrete sulla nostra vita quotidiana. Non è un mondo astratto e lontano, anche se i suoi veri protagonisti se ne stanno ben riparati dietro le quinte, in una sorta di universo parallelo, grigio e impenetrabile.
Le poche facce note – governatori di banche centrali, ministri economici, presidenti e amministratori delegati – sono solo la punta dell’iceberg. Chi muove davvero i fili nel mondo, ormai, sono gruppi di persone non elette, non controllate e spesso non conosciute che lavorano con discrezione fuori da ogni logica democratica per programmare il nostro futuro e rovinarci il presente. Il minimo della trasparenza per il massimo dell’efficacia.
La speculazione finanziaria è anche una tentazione che si trasforma spesso in una trappola. Aziende importanti e floride, come Parmalat per citare un recente caso italiano, si sono rovinate e hanno rovinato la vita dei risparmiatori proprio cedendo al miraggio di guadagni facili e immediati. Perché ostinarsi a fare yoghurt raccattando a fatica pochi soldini quando basta puntare sul mercato finanziario per ottenere incassi strabilianti senza impegnare uomini, mezzi, lavoro?
Finché il vento non gira e i soldi guadagnati in fretta si squagliano ancor più velocemente, lasciando buchi che diventano voragini. Può capitare, allora, che il manager disperato punti tutto in investimenti sempre più azzardati per coprire le perdite. E finisca per falsificare bilanci o per rovinare la vita di migliaia di piccoli risparmiatori, vere vittime finali di questo gioco al massacro.
Sembra il copione di un film mal scritto, ma è esattamente quello che è successo ormai troppe volte a grandi aziende e importanti banche non troppo lontane da casa nostra.

Pubblicato su La Guida del 25 gennaio 018