Statuti 4 Parlare e ascoltare

Esaminare nel dettaglio i 358 articoli degli Statuti di Valgrana sarebbe lungo, forse noioso e richiederebbe spazio, tempo e competenze storiche e giuridiche. Meglio, quindi, limitarsi a brevi flash che ci permettano di immaginare la vita di allora e, soprattutto, servano da spunto per divagazioni sull’attualità.
Due norme della seconda Raccolta sono particolarmente interessanti e curiose: l’articolo 13 che vieta a qualsiasi consigliere di parlare mentre un altro sta già parlando e il 16 che impone di non parlare in consiglio da seduti. Lo scopo dei due brevi testi mi pare identico: vietare sovrapposizioni di voci e consentire a ogni consigliere di esprimersi senza essere interrotto. Per intervenire nell’assemblea occorreva alzarsi e lo si poteva fare solo se il precedente oratore aveva finito di esporre le sue ragioni. Gli scambi di opinioni dovevano quindi essere ordinati e civili e non trasformarsi in un duello verbale.
Difficile non fare paragoni con le attuali assemblee di vario ordine e grado, dai collegi dei docenti alle riunioni di condominio, fino ai più alti vertici delle aule parlamentari. Senza parlare, naturalmente, dei pietosi dibattiti televisivi, dove nessuno ascolta l’altro, tutti si tolgono la parola a vicenda e le voci si sovrappongono fino a diventare urla.
Pensare che nel 1400 gli abitanti di Valgrana abbiano dedicato a una questione che a prima vista può sembrare secondaria ben due dei 358 articoli che regolavano tutti gli aspetti della vita civile, penale, fiscale, amministrativa, commerciale e agricola del paese ci fa riflettere sull’importanza che si attribuiva allora alle opposte e complementari facoltà del parlare e dell’ascoltare.
I nostri antenati avevano capito che libertà e autogestione si basano sulla possibilità per ognuno di esprimersi, ma anche che l’incapacità di ascoltare annulla qualsiasi potenzialità della parola. Se non ci sono orecchie disponibili ad accoglierla, la parola è aria inutile, una vibrazione che non fa risuonare nulla e si disperde.
Troppe parole che si sovrappongono diventano rumore e si annullano a vicenda: se non c’è un silenzio che la recepisce ogni voce è un seme che cade su terreno sterile. Costruire una società democratica vuol dire non solo dare a tutti la possibilità di parlare, ma anche quella di essere davvero ascoltati. Solo col silenzio e l’ascolto la parola acquista peso e consistenza, si materializza, assume una sua forma traducendosi in sentimento, relazione, norma, progetto, realizzazione.
Oggi c’è inflazione di parole e carenza di ascolto, siamo seppelliti da appelli, notizie, avvertimenti, diffide. Migliaia di voci e scritte che anziché chiarire confondono, invece di aiutare la comprensione seppelliscono i pochi concetti utili in un sedimento informe di termini difficili e frasi stereotipate. Dalle istruzioni per l’uso degli attrezzi ai bugiardini dei farmaci passando per i contratti con banche e assicurazioni è tutto un diluvio di parole inutili che diluiscono la verità e annullano qualsiasi vera trasparenza.
Se ai sottoscrittori di obbligazioni bancarie subordinate, invece di far firmare tonnellate di carte incomprensibili, avessero fatto leggere un semplice bigliettino che li avvertiva che i titoli non sarebbero stati rimborsati in caso di fallimento, si sarebbero risparmiati drammi personali e sociali, oltre che pesanti oneri per la collettività. Forse, però, facendo così gli istituti di credito traballanti avrebbero avuto difficoltà a scambiare con denaro buono le loro vuote promesse e le illusioni di facili rendimenti. La verità è semplice, chi gioca con le complicazioni è spesso contrabbandiere di fregature.
La libertà di parola è un bene prezioso ancora ai giorni nostri e fare bene il giornalista può essere un mestiere pericoloso in molti paesi. Ma è importante soprattutto che la parola, oltre che libera, sia efficace, serva a qualcosa di concreto. Altrimenti c’è il rischio che sia solo un’illusione e un paravento per nascondere chi muove le leve nell’ombra.
La libertà di mugugno, di offesa, di alzare la voce non garantisce vera democrazia. Un partito travestito da movimento ha fatto la sua fortuna iniziale raccogliendo simpatizzanti attorno a una parolaccia, mentre il futuro premier raccattava consensi proponendosi come rottamatore. Demolire e insultare sono ben misere soddisfazioni, oltre che verbi poco costruttivi e possono dare l’illusione di contare qualcosa a chi, di fatto, non ha alcuna autonomia decisionale.
Un’altra norma che ha riflessi nell’attualità è contenuta nella Nona Raccolta e vieta di imporre tasse all’infuori di quelle basate sui valori catastali: “nisi per formam regestri”. Il breve testo ci conferma che nel 1400 a Valgrana era già in uso un Catasto (di cui non esistono tracce in archivio), ma soprattutto che l’inventario dei beni immobili era considerato basilare per una corretta tassazione.
L’articolo ha un’importanza direttamente proporzionale alla sua brevità e chiarezza e vieta ogni imposizione fiscale “fantasiosa” e ogni forma di tassazione impropria. La terra era allora, molto più di adesso, sinonimo e parametro della reale ricchezza di singoli e famiglie e un efficace e corretto Catasto garantiva una tassazione giusta e proporzionale alle possibilità di ognuno.
Tornando ai nostri giorni, la riforma del Catasto è un progetto che da sempre ogni governo tiene nel cassetto. Far crescere le rendite catastali dei fabbricati, in nome di un’ipotetica perequazione, è un modo comodo e veloce per aumentare di colpo le principali imposte senza ammetterlo. Imu, Irpef e relative addizionali, imposta di registro, ipotecaria, catastale più salate senza neppure fare la figura degli oppressori fiscali, anzi, travestendosi da operatori di giustizia e magari infilando nel pacchetto qualche contentino o qualche bonus spendibile in chiave elettorale.
Il rischio di una batosta che colpirebbe soprattutto campagne e centri storici è tornato di attualità in questi giorni: un governo da tutti considerato di transizione può essere usato per mettere in atto un provvedimento impopolare.
Il discorso sul Catasto ci porterebbe lontano e meriterebbe un approfondimento che non è possibile fare in poche righe, ma vietare ogni forma di tassazione fantasiosa e impropria sarebbe una norma di impellente attualità. Mi riferisco in particolare a tutte quelle “tasse occulte” sotto forma di obblighi burocratici, multe insensate, norme strampalate e vessatorie che hanno come effetto quello di appesantire la vita, frenare l’economia e fornire ossigeno alle asfittiche casse dello Stato e degli enti locali sottraendolo, in maniera impropria e ingiusta, ai cittadini.

Pubblicato su La Guida del 20 aprile 2017