L’esatto contrario

“L’articolo 1 della Costituzione italiana dice che la sovranità appartiene al popolo, non ai mercati finanziari e ai gruppi di potere”. Ha dovuto ricordarlo in questi giorni l’onorevole Franceschini ai colleghi parlamentari, concludendo che l’antipolitica si sconfigge con la buona politica e che “buona politica è restituire le scelte ai cittadini”. Dobbiamo ripeterlo anche noi a chi sta lavorando davanti e dietro le quinte per un raddoppio del disastroso governo Monti. Dobbiamo dirlo a voce alta, anche perché i sostenitori di un bis del tecnico riciclato nei panni del politico, purtroppo, non stanno solo nelle schiere dei Marchionne e dei Montezemolo, ma anche in quelle che vorrebbero rappresentare il mondo cattolico e, addirittura, quello dell’associazionismo e dei lavoratori.
Ho vissuto come un tradimento l’appoggio incondizionato e suicida del PD alle norme ingiuste, vessatorie e controproducenti del governo Monti in tema di pensioni, fiscalità, lavoro e ambiente. Vivo con ancora più stupore e amarezza la presa di posizione dell’amico Andrea Olivero, presidente nazionale dell’ACLI e persona che stimo, a favore addirittura di un Monti bis o comunque di una continuità con questa pessima esperienza. Meno stupore ma uguale amarezza provo nel sapere che dietro ministri e aspiranti tali di matrice cattolica ci siano le stesse tonache porpora a telecomandare il balletto di dichiarazioni, sostegni, prese di posizione. Convegno di Todi, ottobre 2011, sponsor la CEI, relatori i futuri ministri quasi in formazione completa, da Passera a Riccardi passando per Ornaghi; convegno di Todi, ottobre 2012: di nuovo tutti in scena per tentare il bis.
L’esternazione di Andrea Olivero, in chiara salsa preelettorale, mi fa pensare che anche le persone migliori, quando raggiungono posizioni importanti, tendono a perdere contatto con la realtà, prigioniere di un loro mondo appartato e di logiche di potere. E’ nostro dovere, allora, – di noi che sopportiamo la quotidianità opprimente di questa crisi e subiamo il peso di ingiustizie e prevaricazioni – ricordare con fermezza a chi si appresta a chiederci deleghe che la frenetica attività del governo Monti è andata sempre nella direzione che rappresenta “l’esatto contrario” del mondo in cui vogliamo vivere.
Monti col suo governo di banchieri non ha solo imposto norme ingiuste, pesanti, assurde e controproducenti, non solo ha reso la vita di tutti noi più precaria, più dura, più stressante – questo è soltanto l’aspetto più visibile e superficiale: ha lavorato sodo per minare la coscienza dei diritti, per devastare le forze sindacali, per massacrare la scuola pubblica, per smantellare lo stato sociale. Punta a cambiamenti strutturali, a modificare l’idea che abbiamo di stato, le relazioni fra lavoratori e imprese, i rapporti di forza fra le parti.
La fase finale di quello che Monti e soci chiamano sviluppo non è solo una povertà generalizzata a favore della ricchezza di pochissimi (cosa che sarebbe già triste): è una miseria diffusa. I due termini non sono sinonimi: povero può essere bello e perfino felice, è addirittura oggetto di una beatitudine evangelica. La povertà può essere dignitosa e serena, la scarsità di denaro può essere compensata da ricchezza interiore, da buone relazioni, da tempo a disposizione. Il futuro che ci preparano a colpi di decreti legge dai nomi, manco a dirlo, inglesi (fiscal compact, spending review e via blaterando) ha invece l’orizzonte cupo della miseria, che si associa al degrado morale e materiale, alla schiavitù del lavoro coatto, all’esasperazione, alla stanchezza.
Misera è una società in cui ogni rapporto è monetizzato, in cui il lavoro è un miraggio irraggiungibile per i giovani e una schiavitù per gli anziani. Misere diventano le nostre relazioni reciproche, schiacciate dalla fretta e rovinate dal nervosismo, strette fra orari impossibili e pendolarismo forzato. Misero è il futuro che ci stanno preparando questi maestri del pensiero unico, questi sacerdoti della moderna trinità (crescita-progresso-sviluppo), questi contrabbandieri di pessima politica travestiti da tecnici super partes e sponsorizzati, purtroppo, da chi dovrebbe lavorare per tutt’altra Trinità.
Il governo Monti è stato, di fatto, una sospensione della democrazia in Italia, arrivata dopo l’incubo del ventennio berlusconiano a continuarne con molta più efficacia l’opera di erosione programmata dei diritti, di perdita della coscienza collettiva, di indebolimento delle forze sindacali. In una cosa, infatti, il compassato Professore col suo aplomb anglosassone e l’innominabile Cavaliere con le sue barzellette penose e scurrili sono molto simili, quasi due gemelli diversi: sono entrambi alieni dalla democrazia. Non fa parte del loro modo di pensare. Uno, perché ha la mentalità del “ghe pensi mi” tipica dell’industrialotto lumbard, l’altro perché ragiona per numeri ed è programmato con la mentalità della finanza, che ha tempi e modi incompatibili con le lentezze e le incertezze dell’obsoleto sistema “che ci ostiniamo a chiamare democrazia”.
Monti, infatti, pur con tutti i suoi titoli professorali, non è un economista, nel senso tradizionale del termine. E’ un uomo di finanza, un paladino di quell’universo parallelo e grigio che incombe sull’economia reale e sulla vita quotidiana.
La finanza è il “mercato del denaro”, un mostro cresciuto a dismisura a partire dagli anni 80, nutrito dalla deregulation reaganiana, dalla globalizzazione e dalla velocità di scambi concessa dall’informatica. Un settore che sarebbe utile se fosse in rapporto equilibrato con l’economia, ma diventa un mortale parassita ora che è in proporzione di cento a uno rispetto alla realtà: per ogni euro “vero” ne circolano novantanove virtuali, cioè “falsi”, che si spostano a velocità folle per il pianeta a caccia dei migliori rendimenti.
La finanza “estrae valore”, come ricorda Gallino, da merci, uomini, ambiente. Cioè si comporta come un parassita capace di risucchiare dalle nostre tasche soldi faticosamente guadagnati col lavoro quotidiano per dirottarli nelle capaci bocche di squali invisibili, protetti dall’anonimato della rete e ben riparati negli accoglienti paradisi fiscali. La finanza è vorace, non si accontenta dei normali tassi di rendimento di pochi punti percentuali all’anno: vuole guadagnare in tempi rapidissimi decine di volte tanto. Siccome in economia, come in fisica, nulla si crea ma tutto si trasforma, la finanza succhia valore dal lavoro, dall’ambiente, dalle persone, dagli stati.
Fino a dissanguarli del tutto, come sta succedendo.
Non molti se ne rendono conto, ma quelle migliaia di miliardi di dollari generati dalla speculazione che finiscono in poche mani non arrivano dal nulla: sono presi dalle tasche dell’operaio asiatico che lavora 14 ore al giorno per 360 giorni all’anno – 120 lavoratori bruciati vivi oggi nell’incendio di una fabbrica tessile a Dacca – dal minatore sudamericano soffocato lentamente dalla silicosi, dal bracciante africano ucciso dagli antiparassitari. O, per restare a casa nostra, dalla disperazione del licenziato, dalla frustrazione del disoccupato, dalla stanchezza del vecchio costretto a lavorare, dal dolore del malato in perenne lista d’attesa, dalla rabbia del pendolare, dallo sfruttamento dell’extracomunitario.
Tutte cose che dai palazzi del potere si vedono e si sentono poco: loro hanno vetri smerigliati e buon isolamento acustico.
E Monti è l’espressione tipica, quasi “l’incarnazione” della moderna finanza. Chi non è convinto può controllare il suo curriculum: Goldman Sachs, Moody’s, Atlantic Council, presidente europeo della Commissione Trilaterale (preoccupante gruppo di interesse di orientamento neoliberista), membro del comitato direttivo di Bilderberg  (club di potentissimi che si riunisce a porte chiuse per discutere dei futuri assetti del pianeta), senza contare Coca Cola, Fiat, Comit, Bocconi e via elencando.
Insomma, il cuore del cuore della finanza mondiale, tutti “gruppi” di persone non elette, non controllate e spesso non conosciute che lavorano con discrezione fuori da ogni logica democratica per programmare il nostro futuro e rovinarci il presente. Il minimo della trasparenza per il massimo dell’efficacia. Decisioni prese in gruppi ristretti, in ambienti raffinati e ovattati, protetti dagli spifferi e dai rumori del mondo, a porte rigorosamente chiuse. E dettate poi agli esecutori politici, quei governi nazionali sempre più impotenti davanti all’arroganza del mercato globale. In Italia, caso unico, non c’è neppure bisogno di questo passaggio di consegne: interessi finanziari e potere politico convivono nella stessa persona.
La ricetta di Monti (rigore, tagli e tasse) è la stessa che ha storicamente e geograficamente sempre fallito, rendendo stabile la crisi, al punto da far venire il sospetto che l’obiettivo di chi manovra i fili sia proprio questo.
Perché la crisi conviene molto a qualcuno (indovinate chi…)
E magari non dispiace troppo neppure a qualcun altro (vedi sopra).
Più ordine, più disciplina, meno grilli per la testa, lavorare sodo e chinare il capo davanti al padrone qui sulla terra e a quello che sta su, nel più alto dei Cieli.
E allora tutti a Todi a programmare il bis dello spettacolo.
Andrea, ma tu cosa ci fai con quelli lì?

Cervasca, 25-11-012                lele
Pubblicato sul Granello del dicembre 012