Aria pesante

Sarà per l’aria calda di quest’inverno che non ci ha ancora regalato neve e gelo a ripulire polmoni e mente e spazzar via fumi, nebbie e malinconia.
Sarà per il metabolismo affaticato dei cinquant’anni suonati, il corpo che inizia a cigolare come un cuscinetto grippato, a lamentarsi come un asino stanco.
O sarà per questo arcipelago di morti e tristezze che incrocia quotidianamente la nostra rotta, tanto fitto da non fare più notizia, da trasformare la tragedia in statistica…
…sessanta morti per la solita autobomba qua, un raid aereo per setacciare terroristi dal mucchio di uomini, donne e bambini, là.
Sarà per tutti questi motivi messi insieme, ma faccio sempre più fatica a obbedire al comandamento della gioia. Parlo della gioia vera, non dell’eccitazione dell’attimo, del buonumore occasionale, degli spiccioli di felicità lasciati sul bancone della vita come resto di giornate troppo piene. Una condizione stabile, lenta, solida che dovrebbe essere il normale stato vitale dell’uomo saggio e, a maggior ragione, del cristiano, testimone di una speranza, impegnato a realizzare qui ed ora il regno dei cieli. Un modo di vivere che dovrebbe venire dalla scelta di dar piena fiducia a quella figura di Padre affidabile proposta da Cristo e dovrebbe metterci al riparo dai capricci dell’umore, della salute, della considerazione altrui, del successo, addirittura delle vicende storiche in cui siamo immersi.
Questa serenità interiore è per me traguardo lontano. Non ho studiato abbastanza Aristotele, ai tempi distratti del mio liceo, per vivere la felicità come dovere etico, né ho attinto abbastanza acqua di vita dalle Scritture per avere scorte utili ad attraversare il deserto quotidiano. Non ho riserve di fede sufficienti neppure per l’ordinaria amministrazione, per riempire di gioia stabile le mie giornate di uomo fortunato. Non oso pensare a quando dovessi scontrarmi con il male, quello vero.
Alla mia stanchezza quotidiana bastano questi cieli grigi, quest’aria spessa e pesante, queste stagioni sfasate come molte nostre vite.
Mi demoralizzano le parole fluide dei politici, anche di quelli che siamo stati costretti a votare, ricattati da una legge elettorale definita “porcata” dal suo stesso estensore.
“La parola d’ordine è sviluppo, sviluppo, sviluppo” sento dire alla radio da Prodi e mi pare di sentire quell’altro, quello che lo ha preceduto e che tanto abbiamo faticato a convincere ad andarsene.. Cambia timbro di voce, più cantilenante, meno impostata. Cambia la faccia, larga e paciosa invece del modello lifting, trapianti e riporti. Ma son sempre le stesse parole: “sviluppo, progresso”. Parole di contrabbando, messe lì apposta per fregarti. Parole che contengono una trappola. Evocano un immaginario di buone notizie, di cose positive, di benessere. E invece nascondono all’interno altro cemento, altro asfalto, altri capannoni, altra aria sporca, altri mondi grigi, altro sfruttamento.
Mi rattrista, anzi, mi terrorizza l’immagine di un malato attaccato allo strumento di tortura che lo inchioda alla vita, che chiede la carità di una morte dignitosa e riceve in cambio parole che rimbalzano come un pallone, da un Presidente che comprende, ai politici che rimandano ai giudici, ai giudici che dicono che sono questioni politiche, alla gerarchia ecclesiastica che aggiunge il peso di altre parole e condanne a un giogo già insopportabile.
Mi consola pensare che le porte della chiesa sbarrate davanti a quella bara non han chiuso fuori un corpo: han chiuso dentro, nel loro piccolo recinto di ipocrisia e legalismo chi crede che una fede si possa difendere erigendo recinti e steccati. Tutti quei signori vestiti di bianco, di rosso e di nero, col loro bravo codazzo di navigatori da diporto della bassa politica alla ricerca di spiccioli di potere. “Teocon” si fanno chiamare, una parola che per essere apprezzata appieno richiede, oltre al solito greco, anche una certa dimestichezza col francese delle banlieux.
Fra cieli cupi, temperature anomale, autobombe quotidiane, leggi demenziali, finanziarie sbrodolate e confindustriali e prelati farisaici faccio fatica a colorare le mie giornate con pennellate di gioia: sono sovente sopraffatto dal grigiore personale, politico, sociale, religioso.
Non mi resta che sperare in un colpo di una coda dell’inverno per spazzar via queste nuvole. Altrimenti dovrò aspettare il ritorno della primavera e la forza rigenerante della Pasqua.

Pubblicato sul Granello di Senape col titolo Aria pesante, febbraio 07