Giornale radio

Non possiedo televisione, né l’ho mai avuta da quando ho l’uso di ragione.
Quindi in casa mia non entrano le facce da schiaffi di politici e imbonitori vari in vena di autopromozione. Ma sento il giornale radio e devo sorbirmi comunque l’invadenza (se non visiva, sonora) dei parolai di professione.
Ieri sera ho dovuto alzarmi a metà cena per spegnere l’apparecchio e non farmi rovinare la digestione dal sermone non richiesto di Camillo Ruini…
Non è cosa che mi capiti di frequente: non sono poi così intollerante. Ho ammesso alle mie cene la voce cantilenante di Prodi, quelle presidenziali di Ciampi e Napoletano, l’erre moscia poco proletaria di Bertinotti. Ho continuato imperterrito a mangiare col sottofondo vocale di accenti prima polacchi e ora tedeschi ( forse un po’ troppo frequenti, in uno stato che si dice laico…). Con D’Alema e Fini, gemelli diversi del teatrino della politica, mi limito all’invettiva mentale, senza neppure interrompere la masticazione o il discorso coi famigliari.
E’ rara, dunque, questa mia ginnastica di esclusione a difesa della sacralità del pasto serale. Ho dovuto, in passato praticarla più spesso, negli anni d’oro di Berlusconi, dell’ingegnere Lunardi, (quello coll’hobby delle gallerie), dell’altro ingegnere, finito chissà come alla Giustizia, (quello dell’impunità e delle galere), dell’odontotecnico in camicia verde, (quello talmente abituato al turpiloquio da definire “porcata” una legge creata da lui stesso…) Ma erano altri tempi… (o forse no? forse è cambiata giusto la facciata, una mano appena di vernice a coprire una struttura sempre identica, inamovibile, inattaccabile, inossidabile?)
Ultimamente mi era capitato di dovermi alzare per la Bresso proTAV e pro FIAT e per il suo ineffabile assessore all’usa e getta automobilistico, ma era il radiogiornale del Piemonte, all’ora di pranzo, pasto più disturbato e meno sacro di quello serale.
Ruini, ieri sera, ho proprio dovuto zittirlo, negargli il diritto di accesso alla mia tavola, peraltro in genere aperta e ospitale.
E dire che non sono mangiapreti per vocazione. Da ragazzo, come usava, ho fatto tutta la trafila regolamentare di catechismi e prime comunioni (documentate da foto bianco e nero con mani giunte e prima –ed ultima – giacca). Cinque anni di Seminario Vescovile, in tempi in cui l’edificio di via Amedeo Rossi avrebbe potuto rappresentare perfettamente quella che il sociologo Curcio definisce “un’istituzione totale”. E non sono neppure pentito, a posteriori, né di esserci entrato, in seminario, nell’incoscienza della mia quinta elementare, né di esserci uscito, con la prima consapevolezza del ginnasio. Ho preti che considero amici e sono uno che dà valore definitivo a questa parola. Faccio quotidiane passeggiate in quel libro senza tempo che è il Nuovo Testamento e condivido l’idea di Pietro che ha definito quelle del protagonista dei quattro racconti come le uniche “parole di vita eterna” che gli era capitato di sentire.
Non ho quindi preclusioni di principio per le varie credenze che l’uomo oppone al cielo vuoto, per i ponti che cerca di gettare verso l’infinito.
Ma ieri sera ho proprio dovuto spegnere la radio in faccia al cardinale.
Non sopporto chi seppellisce “la” Parola con le sue parole, chi si ritiene l’unico interprete autorizzato della divinità e pretende di spiegare al popolo ignorante come vivere, far l’amore e morire.
Ho vissuto con angoscia la penosa telenovela di Welby e mi è sembrato triste e intollerabile la posizione di chiusura della gerarchia cattolica. Lontana anni luce dallo spirito che permea tutto il racconto evangelico. Da quel Cristo che per definire il suo Dio al cugino Giovanni non ha usato parole, ma ha fatto vedere zoppi che riprendevano a camminare e ciechi che recuperavano la vista. Lontana anche dal suo modo di fare: Cristo non si è mai lasciato coinvolgere in questioni spicciole. Le sue risposte alle domande, sovente malevole, su morale e politica sono sempre un salto di livello, un passare dal particolare al generale. Mai si sarebbe messo a discutere di uso del preservativo, di spine da connettere o staccare, di pacs o altre amenità.
Dopo le porte della chiesa chiuse in faccia alla bara di un uomo che aveva attraversato una sofferenza indicibile, sono arrivate le parole illuminate del cardinal Martini, uomo di Bibbia e di intelletto. Erano riportate sul giornale ieri mattina e le ho lette con sollievo. La sera, a cena, puntuale come l’acconto Irpef o il ritardo dei treni, la replica del presidente della CEI.
Ho dovuto chiudergli la radio in faccia.
Mi consolo pensando che i Vangeli sono percorsi dal tema costante della durissima contrapposizione del protagonista con le autorità religiose (guarda caso..).
E la storia si conclude con una condanna a morte cercata, voluta e realizzata proprio dal clero di allora.
Scribi e farisei, li chiamavano. Sembra che la razza non si sia ancora del tutto estinta.

Scritto di notte, solito risveglio depressivo delle tre
Mandato a vivermeglio il 24-1-07
Pubblicato sul numero di febbraio